Diritto BancarioL’esecuzione fondiaria e il fallimento del debitore

7 Gennaio 20160

Il Testo Unico Bancario, all’art. 41 comma 2,° dispone che l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari (che, ai sensi del precedente art. 38, comma 1, vanno identificati con i finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili) può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore.

Il curatore ha facoltà di intervenire nella esecuzione, in quanto la somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, deve essere attribuita al fallimento.

Il potere dell’istituto di credito fondiario di iniziare o proseguire l’azione esecutiva nei confronti del debitore dichiarato fallito configura un privilegio di carattere meramente processuale, che si sostanzia nella possibilità non solo di iniziare o proseguire la procedura esecutiva individuale, ma anche di conseguire l’assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata dei beni del debitore nei limiti del proprio credito (Cass. n. 13996/2008; Trib. Monza, 13/04/2015).

L’art. 41, comma 2° del D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385, nel prevedere che il creditore fondiario può iniziare o proseguire l’azione esecutiva sui beni ipotecati anche successivamente alla dichiarazione di fallimento del debitore, deroga al divieto di azioni esecutive individuali previsto dall’art. 51 legge fall., ma non anche alla norma imperativa di cui all’art. 52 legge fall., secondo la quale ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o esentato dal divieto di azioni esecutive, deve essere accertato nelle forme previste dalla legge fallimentare.

L’insinuazione al passivo costituisce, pertanto, un onere per la banca mutuante (sancito espressamente, a seguito della riforma della legge fallimentare, anche per i creditori esentati dal divieto di cui all’art. 51 legge fall.) al fine dell’esercizio del diritto di trattenere definitivamente, nei limiti del “quantum” spettante a ciascun creditore concorrente all’esito del piano di riparto in sede fallimentare, le somme provvisoriamente percepite a titolo di anticipazione in sede esecutiva (così Cass. 6377/2015).

L’assegnazione è quindi da ritenersi sempre provvisoria, essendo onere della banca, per renderla definitiva, di insinuarsi al passivo del fallimento in modo tale da consentire la graduazione dei crediti a cui è finalizzata la procedura concorsuale (così Cass. 6377/2015; Cass. n.13996/2008; Cass. n. 8609/2007; Cass. n. 11014/2007; Cass. n. 23572/2004).

La Corte di Cassazione, nelle sentenze citate, ha escluso che le disposizioni eccezionali sul credito fondiario – concernenti solo la fase di liquidazione dei beni del debitore fallito e non anche quella dell’accertamento del passivo – possano condurre ad una deroga del principio di esclusività della verifica fallimentare posto dall’art. 52 della legge fallimentare.

Deve pertanto sempre riconoscersi efficacia transitoria all’assegnazione della somma disposta nell’ambito della procedura individuale, non potendosi ritenere che il rispetto di tali regole sia assicurato dall’intervento eventuale del curatore fallimentare nell’ambito della procedura individuale, ed essendo onere della banca, per rendere definitiva la provvisoria assegnazione, di insinuarsi al passivo del fallimento in modo tale da consentire la graduazione dei crediti.

Tali principi valgono non solo quando sia stata la banca a promuovere la procedura esecutiva individuale, ma anche nell’analogo caso in cui siano stati altri a promuovere detta procedura e la banca sia intervenuta per chiedere l’assegnazione, in forza del privilegio fondiario, del ricavato della vendita forzata.

L’art. 51 della legge fallimentare fa difatti divieto, dal giorno della dichiarazione di fallimento, di iniziare o proseguire azioni individuali esecutive sui beni compresi nel fallimento, salvo diversa disposizione della legge. Tra le deroghe a detto principio rientra per l’appunto l’esecuzione che può essere promossa dall’istituto di credito fondiario.

In tal caso, proprio perché la legge, in deroga all’art. 51 della legge fallimentare concede all’istituto di credito fondiario tale facoltà, si deve ritenere che la vendita del bene nell’ambito della esecuzione individuale sia alternativa alla vendita nell’ambito della procedura fallimentare, tanto è vero che la banca cui viene assegnato il ricavato della vendita coattiva può trattenere la somma ricevuta solo a due condizioni: che abbia chiesto l’ammissione al passivo e che, intervenuta la graduazione dei crediti, la somma ricavata possa essere destinata a soddisfare totalmente il suo credito, non essendovi creditori poziori (Cass. n. 13996/2008).

Per tali ragioni il privilegio degli istituti di credito fondiario è da considerarsi solo processuale e mai sostanziale, per cui la banca è tenuta a far verificare il proprio credito in sede fallimentare ed a restituire al curatore le somme dovute ai creditori che hanno diritto di precedenza, conseguite nell’esecuzione individuale, a tutela della par condicio creditorum.

avv. Edgardo Riccardi

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