Diritto CommercialeSull’estensione del fallimento ad una società di fatto costituita anche da società di capitali

10 Febbraio 20150

E’ possibile estendere un fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali alla società di fatto composta dalla stessa società di capitali e da altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o società di capitali o di persone?

Sul punto si è aperto un contrasto giurisprudenziale ed un vivace dibattito dottrinale mai risolto.

Difatti, buona parte della giurisprudenza ha escluso la configurabilità di una società di fatto composta da due o più società di capitali (App. Genova 13/12/1997) ovvero da società di capitali e persone fisiche (così Cass. civ. sent. n. 464/85; Cass. civ. sent. n. 3263/80; Trib. Milano 18/06/1990 e da ultimo App.Venezia 16/07/2014), oppure da società di capitali e società di persone (così Trib. Spoleto 28/01/1994).

Meritano però di essere segnalate anche tutte quelle sentenze che si sono pronunciate favorevolmente ad una tale estensione (cosiddetta inversa) del fallimento di una società di capitali (T/Brindisi 07/01/2013; T/Vibo Valentia n.18/2011 e da ultimo Appello di Caltanissetta 28/07/2014).

Le argomentazioni a sostegno della fallibilità di società di fatto composte anche da società di capitali puntano, innanzitutto, sul fatto che il mancato rispetto della procedura di cui al secondo comma dell’articolo 2361 cod. civ., e la mancata deliberazione dei soci di cui al secondo comma, n. 5, dell’articolo 2479 cod. civ., non precludono la partecipazione di una società a responsabilità limitata ad una società di fatto, atteso che entrambe le norme sono dirette a tutelare i soci ed hanno rilevanza meramente interna e non escludono, pertanto, che nei rapporti con i terzi la società nasca, agisca e diventi titolare di diritti ed obblighi per effetto della condotta univocamente tenuta dai soci e dai soggetti ai quali è affidata l’amministrazione. Oltretutto detta giurisprudenza ritiene che il quinto comma dell’articolo 147 della legge fallimentare deve intendersi applicabile a tutte le ipotesi in cui, dopo il fallimento di un imprenditore, sia esso persona fisica o società, risulti che l’attività di impresa dallo stesso esercitata era in realtà riferibile ad una società della quale il fallito era socio.

Sull’argomento il Tribunale di Bari aveva recentemente sollevato, con propria ordinanza, questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione con riguardo a quella parte della norma (art. 147 comma 5° L.F.) che non consente l’estensione del fallimento, originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, ad una società di fatto costituita tra la fallita società di capitali ed altri soci.

La Corte Costituzionale però, con la recentissima sentenza n. 276 del 12.12.2014, ha dichiarato inammissibile la questione perché non correttamente sollevata dal giudice a quo, ma in detta pronuncia i giudici di Palazzo della Consulta si sono spinti oltre sollevando una serie di interrogativi che il giudice remittente avrebbe dovuto porsi.

Segnatamente è stato rilevato che il Tribunale di Bari, nel fondare il suo ragionamento sul presupposto che la srl già dichiarata fallita fosse socia di una società di fatto costituita tra la medesima, e talune persone fisiche, ha omesso, di chiedersi se fosse possibile per una società di capitali di partecipare ad una società di fatto: l’art. 2361, comma 2° c.c. se, da un lato, consente alle SpA di assumere partecipazioni in imprese comportanti la responsabilità illimitata, dall’altro lato, stabilisce che ciò sia deliberato dall’assemblea dei soci e che gli amministratori ne diano specifica informazione nella nota integrativa del bilancio.

I giudici delle leggi inoltre hanno contestato al Tribunale di non aver verificato la compatibilità di tale previsione con la possibilità per le società di capitali di partecipare a società di fatto la cui costituzione avviene per facta concludentia prescindendo, dunque, da qualunque formalità; tantomeno avrebbero preso posizione sulla questione concernente le conseguenze del mancato rispetto degli adempimenti previsti dall’art. 2361 comma 2° c.c.. Oltretutto è stato contestato al giudice rimettente che non ha nemmeno accertato se la conclusione valida per le SpA, cui ha specificamente riguardo l’art. 2361 c.c., possa estendersi anche alle Srl per le quali manca una analoga previsione espressa. Tutte queste argomentazioni hanno portato ad una dichiarazione di inammissibilità della questione sollevata.

Peccato, la questione giuridica, tutt’altro che risolta, costituirà oggetto ancora di aspra disputa accademica e giurisprudenziale.

Senz’altro si è persa un’occasione!

avv. Angelo di Gaeta

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